Restando invece nella Galleria degli Uffizi, c’è un’altra opera degna di nota, simbolo della lotta al patriarcato: il dipinto di Artemisia Gentileschi, talentuosa artista fiorentina, che rappresenta una potente e coraggiosa Giuditta mentre decapita con brutalità Oloferne. L'opera, molto netta e cruda, simboleggia la difficile scelta di una donna talentuosa e desiderosa che cerca di emergere in un mondo dominato dagli uomini, una scelta però che la portò ad essere la prima donna ammessa all'Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze. Artemisia però non fu l’unica donna a distinguersi per le sue doti artistiche, in epoca rinascimentale la giovanissima suora domenicana Polissena de’ Nelli, conosciuta come Plautilla, si cimentò da autodidatta nella pittura, senza esperienza in botteghe artistiche o lezioni di disegno anatomico (vietate alle donne dell’epoca). La sua opera più grande fu “L’Ultima Cena”, un dipinto di grandi dimensioni unico nel suo genere con personaggi dipinti a grandezza naturale, restaurato e oggi esposto nel Museo di Santa Maria Novella.
Il talento di una donna al servizio dell’arte sacra, un concetto strano per la società dell’epoca, ma non per la civiltà etrusca dove era l’esatto contrario: l’arte era al servizio della Mater Matuta, una divinità venerata come madre propizia e dea della fecondità a cui venivano dedicate feste e onorificenze.
Un esempio di questa tradizione si trova al Museo Archeologico di Firenze dove è conservata una bellissima scultura-cinerario di Mater Matuta proveniente dall’area di Chiusi-Chianciano Terme e risalente all'arte etrusca del V secolo a.C.
I reperti storici tramandati parlano del rispetto per la figura femminile, simbolo di nascita e vita per i popoli antichi.